La musica gratis attira sempre folla, ma le idee battono la nostalgia
GABRIELE FERRARIS
TORINO
Fare i confronti non è elegante; ma l’eleganza non è necessariamente una virtù rock, e dunque confrontiamoli pure, i due megaeventi gratuiti dell’estate. Due-trecentomila sabato notte a Roma per i sedicenti Genesis - come se esistesse una band chiamata Genesis senza Peter Gabriel - mentre a Torino erano settantamila per l’ultima serata di Traffic, festival che in quattro giorni ha superato anch’esso le duecentomila presenze. Occhio e croce, s’intende: il gratuito non consente stime precise, ma l’ordine di grandezza è questo.
Qui s’esauriscono le simiglianze; perché a Torino è successo qualcosa di davvero differente. E non soltanto perché quello di Roma era un single event - e, vien da aggiungere, una baracconata nostalgica - mentre Traffic è un festival. Per la precisione, Traffic è - nell’Italia dei cosiddetti «festival estivi» - uno dei pochi festival veri, se non l’unico. Una manifestazione, cioé, costruita secondo un progetto; e dunque «educativa». E’ difatti improprio definire «festival» i cartelloni che infliggono allo stremato pubblico una serie casualissima di star, semi-star e aspiranti star abborracciate secondo le disponibilità del mercato: un festival deve seguire un percorso proprio, creare atmosfere, suggerire idee, promuovere scoperte e riletture. Quello che, appunto, fa Traffic.
In quest’ambito sono accettabili e benvenuti pure i nomi tirapubblico: ciò che conta è il progetto. Lou Reed, oggi, non è di per sé - quando ricicla svogliatamente il suo storicizzato repertorio - meno corrivo e revivalistico di tanti dinosauri che scorrazzano sui palchi dell’estate, o del juke-box miliardario dei Genesis. Ma il Lou Reed voluto da Traffic assume un rilievo diverso, e segnala una tendenza in atto. La riproposizione «live» di Berlin - il suo album più difficile e scostante, forse il più geniale - non è, infatti, una caciara per antichi e nuovi nostalgici attratti dal mito di un’icona rugosa - per rughe fisiche e artistiche, isolo Keith Richards oggi supera Lou nell’imitazione di una tartaruga delle Galapagos.
Far riascoltare Berlin è una salutare violenza al pubblico; ed è un’opera di pedagogia musicale necessaria. Oggi la fine del concetto di disco come opera unitaria segna la morte della musica come l’abbiamo vissuta per quasi mezzo secolo: andare su un palco e imporre l’ascolto di un album, anziché sparsi hit da iPod, è segno di rispetto per il proprio passato. Lo fanno i Sonic Youth con «Daydream Nation» - ed è un concerto fantastico - e lo fa Lou con «Berlin»; e se i Genesis recupereranno Gabriel per un live di The Lamb Lies Down on Broadway, la loro reunion avrà finalmente senso.
La forza di un festival sta quindi nell’«ambiente» che costruisce. Con spunti collaterali - Traffic ha sciorinato sezioni di cinema, arte, letteratura e soprattutto deejaying coerenti, importanti, e gradite dal pubblico - e un risultato complessivo che vada oltre il valore dei singoli concerti. Il giudizio positivo di chi scrive, ad esempio, non è determinato dalla valutazione dei vari act, presi ad uno ad uno: anzi.
A gusto personale, la serata del brit pop, con headliner gli acerbi Arctic Monkeys, era intollerabile; mentre quella dei Daft Punk - seminale per le energie che ha scatenato - diventa indispensabile soltanto per la «scoperta» degli LCD Soundsystem. E a dirsela tutta, Anthony & The Johnsons mi paiono assai sopravvalutati. Eppure, l’impressione finale è splendida: proprio perché conta l’«ambiente» creato, contano le strade che si aprono, le direzioni che si indicano. E anche perché il motore del festival ha virtù taumaturgiche. Guardate Franco Battiato: il suo concerto di chiusura ha riscattato anni di intellettualismi, orientalismi, esotismi, tappeti persiani e fumisterie sufi. L’incontro con i Subsonica ha ri-scatenato il Battiato migliore, portandolo ai suoi massimi storici: un artista rilassato e convinto, sapiente e ironico.
Il passaggio di consegne con gli special-guest Subsonica resterà memorabile, con i Subs che rifanno due classici del Maestro di Catania: Fetus (gioiello dimenticato, tant’è che molti l’hanno creduto un pezzo inedito della band); e una Patriots che nella rilettura subsonica, durissima, trova una nuova ragion d’essere. Traffic s’è chiuso con un Battiato duettante con Samuel in Preso blu. Bello scambio di testimone fra irregolari. E una promessa di meraviglie per il ritorno dei Subsonica ai live: la band suona come non mai, con un tiro e una determinazione inimmaginabili. Non ce n’è per nessuno, oggi in Italia non hanno più rivali. A giudicare dall’assaggio di Traffic, il prossimo tour sarà l’apocalisse.
Tra novembre e dicembre, dopo l’uscita del nuovo cd, i Subsonica faranno 8 date nei palasport: debutto il 23 novembre a Jesolo, 24 Bologna, 27 Firenze, 30 Roma, 1 dicembre Caserta, 6 Milano, 8 Genova, chiusura il 12 a Torino. Le prevendite sono iniziate: per premiare i fans più solleciti, fino al 2 settembre il biglietto costerà 15 euro più diritti, dal 3 invece salirà a 18 euro più diritti.
questo della 'stampa di torino nun capisce nullaa